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| - Durante la direzione nazionale del 4 aprile Renzi ha parlato spesso degli Stati Uniti. Ci siamo già occupati della sua dichiarazione sulla piena occupazione Usa (che abbiamo valutato con un “C’eri quasi”), ma il Presidente del Consiglio ha citato anche “l’indipendenza energetica” che sarebbe stata raggiunta al di là dell’Atlantico grazie alla tecnica del fracking. È una dichiarazione impegnativa, che Renzi ha ripetuto due volte nel suo intervento: vediamo se i numeri confermano.
La bilancia energetica degli Stati Uniti
Con “indipendenza energetica” si intende la possibilità, in un Paese, di soddisfare la richiesta energetica con le risorse provenienti dal suo interno e dunque senza far ricorso alle importazioni dall’estero. In senso più esteso, l’espressione indica il bilanciamento delle importazioni con le esportazioni, più che un’autarchia assoluta nelle risorse energetiche.
Gli Stati Uniti non sono, attualmente, in nessuna di queste due condizioni. Secondo l’U.S. Energy Information Administration (EIA), l’ente federale responsabile della raccolta dei dati sull’energia, gli Usa sono oggi esportatori netti di carbone e prodotti petroliferi, ma importano gas naturale e petrolio grezzo. Considerando il contenuto energetico di questi materiali, nel 2014 il Paese ha esportato 12,2 milioni di miliardi di Btu (British termal units) di energia, ma ne ha importati 23,3 milioni di miliardi.
Le importazioni nette di petrolio grezzo (e prodotti derivati) sono riassunti nel grafico sottostante, tratto dal sito dell’EIA.
Come si vede, dopo il picco del 2005 le importazioni sono scese in modo molto deciso, ma ancora nel corso dello scorso anno gli Usa importavano in media 4,651 milioni di barili al giorno.
A quando il pareggio?
Renzi sembra, in qualche modo, anticipare i tempi. Ad aprile 2015, quando ha pubblicato il suo Annual Energy Outlook 2015, il rapporto annuale contenente le previsioni per il mercato energetico statunitense fino al 2040, l’EIA ha scritto in effetti che “tra il 2020 e il 2030” gli Usa potrebbero eliminare l’importazione netta di energia che esiste fin dagli anni Cinquanta.
L’EIA precisa che, qualunque sia lo scenario, gli Stati Uniti continueranno a importare combustibili liquidi e petrolio grezzo (o greggio: il prodotto estratto dai pozzi e non ancora raffinato) ma aumenteranno notevolmente le loro capacità di esportazione di gas naturale.
Il raggiungimento di quell’obiettivo dipende da diverse variabili: prezzo del petrolio, risorse energetiche e crescita economica. Lo scenario principale considerato dall’EIA prevede un bilanciamento tra importazioni ed esportazioni nel 2028. La data potrebbe avvicinarsi (al 2019) nel caso in cui il prezzo del petrolio salisse molto, mentre se fosse particolarmente basso il pareggio non avverrebbe neppure di qui al 2040. I quattro scenari principali sono riassunti nel grafico successivo (tratto da qui).
Dunque, a seconda dello scenario l’indipendenza energetica potrebbe arrivare molto presto – tra qualche anno – o essere invece ancora al di fuori dell’orizzonte degli eventi. La stessa previsione del raggiungimento dell’indipendenza energetica è stata criticata da diversi analisti e addetti ai lavori, tra cui il Ceo del gigante petrolifero Total.
Negli Stati Uniti, infatti, quello dell’indipendenza energetica è un tema ricorrente e un grande oggetto di discussione, come ricorda questo articolo di Politico: una promessa ripetuta spesso dai presidenti, fin da quando Richard Nixon ne parlò all’alba della crisi politica del 1973. Ma da allora il traguardo è sempre sembrato lontano: nel 2005 la quota di importazioni sul totale del fabbisogno di petrolio statunitense ha raggiunto il picco del 60%. Negli ultimi anni la diffusione delle rinnovabili, le politiche di risparmio energetico e soprattutto nuove innovazioni tecnologiche hanno permesso di invertire la rotta. La più importante delle innovazioni tecnologiche, ma non l’unica, si chiama fracking.
Il fracking
Il fracking, in italiano “fratturazione idraulica”, è una tecnica per l’estrazione che consiste nell’iniettare a grandi profondità un getto di acqua ad alta pressione, di solito mescolato a sabbia e altri prodotti chimici, per ottenere il rilascio di petrolio e gas naturale dalle rocce. Queste ultime sono scisti bituminosi, in inglese shale rock, da cui il nome di shale oil o shale gas per i prodotti che vengono estratti.
È una delle tecniche cosiddette “non convenzionali” e ha suscitato molte proteste nei Paesi in cui è utilizzato o se ne programma l’utilizzo. I motivi sono sia ambientali – perché il fracking utilizza enormi quantità di acqua e i prodotti chimici utilizzati rischiano di contaminare le falde acquifere – sia di sicurezza, perché la tecnica può provocare piccoli terremoti.
Gran parte di loro, dice l’USGS (l’ente governativo statunitense che si occupa della ricerca geologica), sono troppo deboli per essere avvertite in superficie, ma in almeno tre casi prima del 2012 – in Canada, Regno Unito e Oklahoma – gli studiosi ritengono che scosse rilevate al livello del suolo siano stati causati dalle attività estrattive (in Italia, il fracking è vietato, come dice Renzi, e comunque non ci sono giacimenti sfruttabili di shale gas).
Ad ogni modo, la produzione dello shale gas ha portato a una svolta nel panorama energetico americano: una scheda del Dipartimento per l’Energia statunitense spiega che le nuove tecniche di estrazione hanno portato a “una nuova abbondanza nell’offerta di gas naturale negli Stati Uniti”. Ma da qui all’indipendenza energetica la strada sembra ancora lunga – e tutt’altro che sicura.
Il verdetto
Matteo Renzi dice che, grazie al fracking, gli Stati Uniti hanno raggiunto l’indipendenza energetica. Se è vero che la produzione di shale gas e shale oil hanno portato a una rivoluzione nel panorama energetico nazionale, il pareggio tra importazioni ed esportazioni (senza parlare poi della totale autonomia, che è probabilmente irraggiungibile nell’economia globale) è ancora di là da venire e anche le stime più ottimistiche prevedono che ci vorrà ancora una decina d’anni. “Pinocchio andante” per il Presidente del Consiglio.
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