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| - Con questa dichiarazione Vendola ha scoperchiato il vaso di pandora della normativa giuslavorista, con effetti potenzialmente letali per gli incauti avventori. Cerchiamo di raccapezzarci nella giungla del diritto del lavoro evitando di tediare il buon lettore.
Il contratto di lavoro a tempo determinato da’ luogo ad un rapporto di lavoro che si caratterizza per la preventiva determinazione della sua durata, estinguendosi automaticamente allo scadere del termine inizialmente fissato, e in questo senso si distingue dal tanto sospirato contratto a tempo indeterminato. La disciplina dei contratti a tempo determinato e’ regolata dal decreto legislativo n.368 del 2001, successivamente integrata da interventi legislativi nel 2008, nel 2010 e da ultimo con la recente riforma Fornero (legge 92/2012).
Ma quante forme diverse di questo tipo di contratti ci sono? In realta’ su questo punto non c’è chiarezza: manca una fonte ufficiale, e persino le parti sociali – sindacati e Confindustria – citano numeri diversi in base a come classificano diverse tipologie contrattuali. Nel tentativo di “fare chiarezza nell’universo delle tipologie contrattuali dell’ordinamento italiano”, lo scorso gennaio la Cgil ha pubblicato uno studio sul tema.
Secondo quanto rilevato, le forme contrattuali sono 46, una in meno di quanto indicato da Vendola – ma occorre fare qualche distinguo. L’elenco comprende infatti tutte le forme di contratti di lavoro, non solo quelle a tempo determinato. E tra queste, ci sono ad esempio 6 forme di contratti che sono espressamente a carattere indeterminato. Altre tipologie, come il contratto di apprendistato, sono espressamente escluse dalla disciplina dei contratti a tempo determinato. Inoltre, l’elenco della Cgil precede la riforma Fornero, che ha semplificato alcune forme contrattuali, eliminando ad esempio il contratto di inserimento.
Bisogna anche considerare che nell’elenco figurano anche alcune voci che non sono autonome tipologie contrattuali: il telelavoro, per esempio, è una modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non un tipo di contratto distinto. E’ anche per questo che i dati della Cgil sono diversi da quelli di Confindustria, che conta circa una ventina di forme di contratto di lavoro: come spiega il sito Pmi.it, “le divergenze sono solo numeriche, nel senso che gli industriali accorpano alcune tipologie di contratto di lavoro sotto un’unica voce, mentre la Cgil le differenzia”.
Vendola sembra dunque essersi confuso, citando malamente il dato della Cgil che peraltro riguarda il totale delle forme di contratto di lavoro e non solo quelle a tempo determinato. Gli risparmiamo la “Panzana pazzesca” per aver indicato quasi correttamente il numero di contratti, ma un “Pinocchio andante” non glielo leva nessuno!
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