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  • No, l’Università di Oslo non ha proposto di vendere feti sviluppati in «donne morte usate come incubatrici» Il 26 luglio 2024 è stato pubblicato su TikTok un video in cui compare lo screenshot di un articolo pubblicato sul quotidiano La Verità l’8 febbraio 2023. L’articolo, dal titolo “Proposta horror dalla Norvegia: donne morte usate come incubatrici”, sostiene che l’Università di Oslo, in Norvegia, ha proposto di «arruolare» pazienti senza attività cerebrale «come madri surrogate per sviluppare feti da vendere». Il contenuto è presentato in maniera fuorviante e veicola una notizia fuori contesto. L’Università di Oslo non ha mai avanzato formalmente questa proposta. Ciò a cui si riferisce l’articolo de La Verità è uno studio pubblicato il 18 novembre 2022 dalla professoressa di filosofia Anna Smajdor, ricercatrice su questioni etiche legate alla medicina e alle scienze della vita presso l’Università di Oslo. Lo studio, dal titolo “Whole body gestational donation” (in italiano, “Donazione gestazionale di tutto il corpo”), discute la possibilità che le donne in stato vegetativo persistente donino il loro intero corpo per scopi gestazionali, a patto di aver fornito un consenso scritto in precedenza e diventando così “madri surrogate”. La “maternità surrogata” si riferisce alla situazione in cui una donna accetta di portare avanti una gravidanza per conto di altre persone e, successivamente, di consegnare il neonato a queste ultime. Come già spiegato da Facta, l’idea della donazione nasce da una proposta avanzata nel 2000 da Rosalie Ber, ricercatrice del Technion – Israel Institute of Technology di Haifa, Israele. Nell’introduzione alla ricerca più recente, la studiosa Anna Smajdor si propone di esplorare l’etica di questa proposta, e sottolinea di voler considerare diverse controargomentazioni, «tra cui il fatto che queste donazioni non salvano vite e potrebbero reificare il corpo riproduttivo femminile». Peraltro, in nessun punto dello studio si propone di vendere i feti sviluppati seguendo questa tecnica. Anna Smajdor conclude però che la sua ricerca rappresenta un esercizio mentale e filosofico (in inglese, “thought experiment”) più che una soluzione a un problema del mondo reale. Non si può quindi sostenere che l’Università di Oslo abbia proposto formalmente questa tesi, né che l’intento fosse quello di vendere i feti una volta sviluppati.
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